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Das Weblog zur Volkskunde des Bankraubs

 
Bereits vor geraumer Zeit wurde hier ("Aktenzeichen SMS ungelöst") über das SMS-Fahndungsprojekt von Schily berichtet.
Bereits im April 2004 berichtete Heise online, dass das Projekt in Bochum zu floppen droht. Nun kam das offizielle Eingeständnis, dass das mal wieder so eine TechnoPhantasie der Schily-Administration im Innenministerium gewesen ist:

SMS-Fahndung: Polizei stellt letztes Pilotprojekt ein

Als letzte von anfangs zwölf Dienststellen verzichtet das Bochumer Polizeipräsidium auf den weiteren Einsatz der SMS-Fahndung. Das mit zahlreichen Vorschusslorbeeren versehene Pilotprojekt war vom Bundeskriminalamt Ende 2002 ins Leben gerufen worden. Die Grundidee des Projekts bestand darin, das Instrumentarium der so genannten Öffentlichkeitsfahndung wie beispielsweise das Verteilen von Flugblättern bei Entführungsfällen um das populäre Medium SMS zu ergänzen. Diese wurden von der Polizei an ausgewählte Berufsgruppen wie Taxi- und Busfahrer oder Mitarbeiter des Ordnungsamts versandt -- in der Hoffnung, dass diese während ihrer normalen Arbeit Beobachtungen über vermisste Personen oder gesuchte Autos sammeln können. Am Bochumer Projekt wirkten über 700 Bürger mit, doch verhalfen deren Hinweise nicht ein einziges Mal dazu, einen Fall aufzuklären. Daher stand das Projekt nach gut zehn Monaten bereits Ende 2004 vor dem Aus.

Gegenüber heise online erklärte der Bochumer Projektleiter Frank Nows, dass das Ende des Versuchs keineswegs eine generelle Abkehr der Polizei vom Kommunikationsmedium SMS darstelle. So werde die für das Pilotprojekt geschaffene SMS-Applikation polizeiintern weitergenutzt, um während "Großlagen" Informationen per SMS auf die Handys ausgewählter Beamter zu senden. Dies habe sich zum Beispiel bei der Sicherung des Bundesparteitags der SPD bewährt, der im November 2003 in Bochum stattgefunden hatte.

Dass die öffentliche Fahndung per SMS in keinem der Pilotprojekte einen greifbaren Erfolg gebracht habe, führt Nows auch auf die geringe Anzahl der teilnehmenden Behörden zurück. Bei einem Preis von 7 Cent je Fahndungs-SMS seien die Kosten für dieses Fahndungsinstrument als günstig einzustufen -- demgegenüber koste der Einsatz eines Polizeihubschraubers je Flugstunde rund 1000 Euro. "Wenn eine Suche per Hubschrauber einmal erfolglos verläuft, wäre dies ein Grund, die Hubschrauberstaffeln der Polizei abzuschaffen?", gibt Nows zu bedenken. Mehr Erfolg als bei dem isolierten SMS-Projekt verspricht sich Nows von integrierten Fahndungsportalen, die die Büger sowohl per Internet-Zugang (stationär oder mobil) als auch über Mobilfunk-Dienste wie SMS oder MMS erreichen. (ssu/c't)


Vgl. a. Spiegel online (30.09.2005):

"Die Idee wird nicht weiter verfolgt"

"Es klang wie ein guter Plan: Per SMS, regte das Bundeskriminalamt an, könne man die Bevölkerung als Laien-Ermittler in Fahndungen einbinden. Am Ende einer zweijährigen, so gut wie erfolgsfreien Testphase verschwindet die "SMS-Fahndung" nun wieder in der Schublade.

Funkstille beim Innenministerium

Das Bundesinnenministerium in Berlin wollte am Freitag weder zu der Problematik noch zum Stand der Dinge Stellung nehmen. Angeblich hatte Innenminister Otto Schily das Projekt im Februar vergangenen Jahres befördert. Der SPD-Politiker habe sich davon eine schnellere Aufklärung von Straftaten und die rasche Ergreifung von Tätern versprochen. Als vorrangige Zielgruppe galten Taxifahrer, Bus- und Straßenbahnchauffeure sowie Mitarbeiter städtischer Ordnungsämter."

Auf den Webseiten des italienischen "coolclubs" ("Un gruppo di amici, quello della Coolcub, che intende fare del Salento un polo di risonanza nazionale, e non solo, per tutto quello che concerne il pianeta musica") findet sich folgende Besprechung (15.9. 2003) der italienischen Version von "Vabanque"):

La rapina in banca
a cura di Klaus Schönberger
DeriveApprodi 2003

I soldi? Chiedili alla tua banca. Confessate, chi di voi almeno una volta nella vita non ha sognato viaggi nei Caraibi, ville da sogno su spiagge incontaminate, corse mozzafiato a bordo di Ferrari rosse fiammanti, feste dove corrono fiumi e fiumi di champagne francese. E tutto questo finanziato, confessatelo coraggio, ci avete pensato, grazie ad una semplice, poco faticosa anche se leggermente rischiosa forse, piccola, rapida ed efficace azione: una rapina in banca. Neanche se siete un prete o un poliziotto credo che il vostro disappunto in questo momento sia reale e sincero. La rapina in banca da sempre esercita un fascino e una simpatia tutta particolare. È l'unico crimine che non incontra la condanna della società civile. Raramente si riesce a scandalizzarsi di fronte ad un colpo andato a buon fine, senza spargimento di sangue innocente, magari svoltosi in circostanze stravaganti ed originali, magari con un bottino straordinario, magari ai danni di una banca particolarmente grossa e chiacchierata. Sono tanti i motivi che spigano questa innata simpatia del rapinatore di banche e sono tanti i rapinatori che ci hanno fatto sognare, provare invidia e magari innamorare. Chi non ha sognato di essere il Clyde di fianco alla bella Bonnie o viceversa? Quale donna non ha segretamente sognato di incontrare un ladro gentiluomo come Renè Vallanzasca o Horst Fantazzini? E quanti scrittori e cineasti hanno costruito le loro storie fortunate attorno al personaggio di un bel ladro tenebroso e spericolato?
Comunque, per chi voglia saperne di più della rapina in banca, della sua storia, per chi voglia conoscere alcune teorie intorno al crimine più diffuso del mondo, e perché no, per chi voglia apprendere qualche consiglio pratico, è in commercio un simpatico e dettagliatissimo libro edito dalla piccola e militante casa editrice romana DeriveApprodi. Il libro, curato dall'eccentrico professore tedesco Klaus Schönberger è un vero e proprio compendio sulla rapina in banca. Contiene biografie dei principali protagonisti a partire dai primi assalti ai treni portavalori nell'America
del selvaggio west, saggi sociologici ed economici sulle cause, gli effetti e la percezione del reato,ed alcuni racconti in prima persona di rapinatori più o meno famosi.
È una lettura piacevole, un testo accattivante e profondo, che lascia spazio anche al desiderio di rompere con questa società e darsi alla
rapina. E chissà che fra i lettori di questo libro non si nasconda un nuovo Arsenio Lupin. O, meglio ancora e perché no, un nuovo Robin Hood.


Auf "Anzt" (AnarchistNewsService) lesen wir gleichermaßen eine kurze Besprechung:

"La rapina in banca è senza dubbio il crimine più socialmente invidiato. I rapinatori sono, infatti, i criminali più amati e che riscuotono la maggiore simpatia dell'opinione pubblica. Da sempre. Iniziata nell'Europa mercantile, ma diffusasi solo nel selvaggio West americano, la rapina in banca ha una storia lunga e molti protagonisti. Da Bonnie & Clyde a Horst Fantazzini, dalle bank ladies ai Tupamaros, gli innumerevoli furti ai depositi di denaro dimostrano che i soldi piacciono a tutti. In questo libro si troveranno casseforti ripulite, diligenze assaltate, banche svaligiate, furgoni portavalori distrutti. Professionisti del furto con scasso dall'impeccabile fair play e anziane signore che vogliono arrotondare la pensione. Sistemi di sicurezza e allarmi, vie di fuga e nascondigli. Più che la storia di un crimine, La rapina in banca coincide con la storia di un sogno: diventare ricchi senza fatica."

Hier folgen Auszüge aus einer Besprechung eines Buches der Autoren (Emilio Quadrelli) der italienischen Ausgabe von "Vabanque":

Alessandro Dal Lago – Emilio Quadrelli, "La città e le ombre. Crimini, criminali, cittadini", Feltrinelli, 2003, pp. 402, € 20,00

Frutto di un lavoro durato cinque anni (1997-2002), durante i quali sono state intervistate circa quattrocento persone (in larga maggioranza ladri, rapinatori, spacciatori e consumatori di droghe, prostituti/e italiani/e e stranieri/e e i loro clienti, usurai, intermediatori di “affari”, giocatori d’azzardo, ma anche commercianti, gestori di locali pubblici, imprenditori, operatori sociali, membri delle forze di polizia, magistrati) di duecento delle quali il volume accoglie le testimonianze, la ricerca etnografica condotta da Dal Lago e Quadrelli, docenti presso l’Università di Genova, ha avuto come epicentro il capoluogo ligure, ma i risultati ai quali perviene assumono una valenza più generale, potendosi Genova considerare come una città-laboratorio, in quanto anche qui, come nel resto d’Italia, si sono avuti quei mutamenti nella struttura dell’economia, nelle forme di organizzazione e di autorappresentazione di ciò che resta della classe operaia, nelle modalità di gestione ed amministrazione del potere locale, nella gestione dei flussi migratori e della disoccupazione giovanile che si è soliti individuare come elementi caratterizzanti la società postindustriale.
Resi espliciti nell’ampia introduzione i problemi incontrati e i criteri adottati per «narrare l’infamia», il libro si articola in otto capitoli (più un epilogo), ciascuno dei quali ricostruisce con abbondanza di dati e acume interpretativo i protagonisti, i servizi offerti, l’ampiezza, le caratteristiche e l’evoluzione della clientela, le dinamiche interne, il sistema di relazioni instaurate con il mondo legale e l’evoluzione conosciuta nel corso degli anni, di uno specifico «mercato illegale»: i piccoli traffici ai quali da sempre si dedica la malavita tradizionale radicata nei quartieri del centro antico; le «batterie» di rapinatori che nei primi anni Settanta, a Genova come nelle altre aree metropolitane del triangolo industriale, avevano dato vita a forme inedite di criminalità (1) ; il gioco d’azzardo e le scommesse clandestine; l’usura; lo sfruttamento economico degli immigrati clandestini; la prostituzione femminile e quella maschile; le droghe. Completano il volume una quarantina di pagine di note e altre venti di utilissimi e aggiornati riferimenti bibliografici.
Lo scopo della ricerca, come viene esplicitato fin dalle prime pagine del libro, è quello di indagare i rapporti esistenti tra due «mondi» che, pur condividendo i medesimi spazi, appaiono a tutta prima connotati da una radicale alterità: quello “visibile” dei «cittadini» e quello “sotterraneo” dei «criminali». L’ipotesi interpretativa da cui gli autori partono, e che trova conferma al termine del loro lavoro, è invece quella di «una clamorosa discrepanza tra la realtà del crimine […] e la sua rappresentazione prevalente» nei media così come presso le istituzioni e le scienze specialistiche, abituati a considerare il crimine come un affare esclusivo dell’«ombra», del sottosuolo, qualcosa di radicalmente eterogeneo rispetto al mondo della “normalità” e della società legittima, costantemente minacciata, quest’ultima, dal mondo delle tenebre.

(... )

Al termine della loro ricerca, gli autori possono quindi riprendere e meglio precisare l’ipotesi di lavoro da cui erano partiti: «I mercati illegali sono solo in parte di competenza dei criminali. In una misura che varia a seconda dei tipi di mercato, i cittadini accedono ai mercati illegali sfruttando le possibilità che questi offrono. Ma la definizione sociale o stigmatizzazione del crimine li riguarda solo marginalmente. Saranno soprattutto figure “specializzate” passivamente (etichettate a priori) a giocare il ruolo di parte per il tutto e a rappresentare quindi, per l’opinione pubblica e le istituzioni, i mercati illegali e i mondi criminali. Tale rappresentazione sociale contribuisce a modellare l’azione delle istituzioni nei confronti dei mercati illegali e a definirne ambito e dimensioni».

(...)

(1) Per un approfondimento di questo finora poco indagato segmento della storia criminale del nostro paese si veda il contributo di E. Quadrelli nel volume a cura di Klaus Schönberger, La rapina in banca. Storia. Teoria. Pratica, DeriveApprodi 2003, e soprattutto, dello stesso Quadrelli, Andare ai resti. Banditi, rapinatori, guerriglieri nell’Italia degli anni Settanta, DeriveApprodi 2004)

"Wir sehen unsere Kunden immer weniger. Nur die Bankräuber kommen immer öfter" meint Peter Püspök, Chef der Raiffeisenlandesbank im Kurier (3.10. 2005)

Beratung statt voller Kassenhallen

"Schlechte Geschäftszeiten, oft wechselnde Betreuer und hohe Spesen: Das sind meist jene Punkte, über die sich Bankkunden ärgern. "80 bis 90 Prozent aller Kunden werden nicht optimal betreut", meint Peter Püspök, Chef der Raiffeisenlandesbank (RLB) NÖ-Wien. Viele seien unterinformiert. Andere wiederum könnten aus dem Überangebot an Informationen die für sie richtigen nicht herausfiltern.

Die RLB NÖ-Wien hat daher bereits vor geraumer Zeit ihr Beratungsservice ausgebaut und bestehende Filialen dahingehend umgebaut. "Vier dieser Beratungsbüros gibt es in Wien bereits, heuer folgen drei weitere", kündigt Püspök an. Denn der Trend hin zu prall gefüllten Beraterbüros, aber leeren Schalterhallen gehe weiter. "Nur die Bankräuber, die mehrheitlich in die Kategorie Auslandsgeschäft einzureihen sind, kommen immer öfter", ätzt Püspök. Einziges Problem der Strategie sei, Mitarbeiter schnell und effizient auszubilden: "Das ist der Flaschenhals."


Dann folgt noch ein bisschen Public Relations, was hier ja nicht von Belang ist ...

 

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